I palazzi galleggianti di Caligola

Sfarzo e eccentricità tra storia e leggenda

I Romani erano un popolo opulento. Gli imperatori, poi, non badavano a spese, soprattutto se si trattava di allietare gli innumerevoli soggiorni in lungo e in largo per l’Impero. Basti pensare alle innumerevoli ville sparse per la nostra Penisola, agli impianti termali – per i quali i Romani avevano una vera e propria ossessione – o le strutture dedicate ai giochi. Se poi l’imperatore in questione è passato alla storia per il suo temperamento eccentrico o, quantomeno, scialacquatore, l’abbinamento la stravaganza e l’esagerazione viene quasi automatico.  

L’imperatore con la passione per l’Oriente

Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico, regnante come Gaio Cesare e più conosciuto come Caligola (dai calzari che amava portare in gioventù), nei suoi miseri quattro anni di impero riuscì a passare alla storia come un despota eccentrico e depravato, dilapidando tutto il patrimonio accumulato dal suo predecessore in nome di una stravaganza ispirata in egual misura al disprezzo per i mores della classe senatoria e all’ammirazione per i monarchi orientali ellenistici.  

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Alaggio prima neve di Nemi, Museo Scienza e Tecnologia, Milano. Foto via

Proprio questi ultimi, per autocelebrarsi, avevano adottato l’uso egizio di costruire enormi navi da parata, imbarcazioni molto simili alle nostre navi da crociera, con mosaici, giardini pensili e qualsivoglia forma di meraviglia architettonica. Caligola, che amava riferirsi a sé stesso come dio, naturalmente non era rimasto indifferente a tale sfoggio di magnificenza, e aveva fatto costruire due palazzi galleggianti lunghi settantadue e settantuno metri, larghi circa venti, a chiglia piatta, da collocare nel Lago di Nemi, poco a sud di Roma.  
Ora, Nemi è un bacino piuttosto modesto, dalla tipica forma tondeggiante degli invasi di origine vulcanica: i due mastodonti galleggianti avrebbero avuto poco spazio di manovra. Per questo si decise che uno doveva fungere da residenza da diporto, con ambienti chiusi a poppa – tra cui alcuni riscaldati e altri con funzione termale – e doveva essere collegata con la villa dell’imperatore, posta sulle rive del lago. L’altra doveva avere invece una funzione cerimoniale: secondo alcune ipotesi, era legata al culto orientale di Iside, che veniva celebrata ogni 15 marzo al riprendere della stagione della navigazione.   

Cercatori d’oro

Immaginate lo splendore e l’opulenza di tali costruzioni: non sorprende che, alla morte di Caligola, il Senato, con un chiaro intento di damnatio memoriae, avesse deciso di affondarle, cancellando per sempre il frutto del delirio di onnipotenza del giovane imperatore. Ma le leggende, coadiuvate dal recupero accidentale di materiali decorativi, sono dure a morire: numerosi tentativi di recupero – alcuni dei quali molto ingegnosi – si verificarono fin dal XV secolo.  

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Prima nave emersa, Nemi, foto via

Già nel 1446 Leon Battista Alberti, su incarico del cardinale Prospero Colonna, a bordo di una chiatta tentò di arpionare una delle navi, riportando alla luce alcune tubature in piombo. Alcuni nuotatori genovesi avevano infatti esplorato il relitto più vicino a riva, dettandone la conformazione e la profondità, e permettendo al famoso archeologo ante litteram di farsi un’idea di ciò che era serbato dalle acque del Lago di Nemi. Questa prima azione documentata, tuttavia, ebbe effetti devastanti sugli scafi, perché le navi, troppo pesanti per essere ripescate, persero importanti pezzi lignei e decorativi.  
Circa un secolo dopo, Francesco de Marchi, con l’ausilio di una campana di legno munita di un oblò di vetro – struttura che lascia però libere braccia e gambe – compie una serie di immersioni che danno conto delle dimensioni dello scafo più vicino a riva e del suo stato di conservazione.  

musei del lazio

Museo delle Navi Romane, foto via

Poi, per tre secoli, non sappiamo se qualcuno abbia tentato o meno un recupero; possiamo solo immaginare che un tale tesoro, per di più così vicino a riva, abbia fatto gola a tanti. Si torna a parlare delle navi nel 1827, periodo in cui cominciavano a profilarsi i primi interessi archeologici della storia. Il Cavalier Annesio Fusconi si immerge con una campana subacquea, una struttura a tenuta stagna aperta sul fondo e dotata di una pompa d’aria: asporta marmi, smalti, mosaici, frammenti di colonne, laterizi, chiodi. Con il legname vengono realizzati dei souvenir. Quando il maltempo interrompe i lavori, il materiale recuperato viene depredato, e Fusconi abbandona l’impresa. Altro che archeologia, un vero e proprio saccheggio.

Il recupero

svuotamento lago di nemi

Avvio impianto idrovore Navi di Nemi, Museo Scienza e Tecnologia, foto via

Solo nel 1896, a seguito di alcuni recuperi dell’antiquario Eliseo Borghi, si decide di procedere con un recupero serio. Per di più, era stato individuato un secondo scafo, posto a duecento metri dal primo, fino a quel momento sconosciuto. 
Bisognava scavare: era l’unico modo per non apportare ulteriori danni. Inizialmente si pensò di abbassare il livello del lago tramite un cunicolo da realizzare tra i laghi di Nemi e di Castel Gandolfo, ma poi si decise di ripristinare l’antico emissario artificiale del V secolo, che collegava Nemi al Fosso dell’Incastro di Ardea. Il progetto fu avviato nel 1928 e, dopo solo un anno, il primo scafo era già totalmente emerso. Fu collocato in un hangar sulla riva settentrionale del lago, ma i costi estremamente elevati non permisero di portare a termine l’operazione: il secondo scafo fu estratto solo nel 1932. Anche a seguito del secondo recupero, il problema della conservazione persisteva: si decise allora di realizzare un museo che potesse inglobarle e agevolarne i lavori di restauro – il Museo delle Navi Romane.
Tutto tacque fino al 31 maggio 1944, quando un incendio distrusse i due relitti: una notte infuocata distrusse secoli di sogni e leggende. Si disse che l’incendio fosse doloso, e che fosse colpa dei tedeschi; ma i risultati delle inchieste non convinsero. Qualcuno ipotizzò che l’atto fu opera di persone senza scrupoli che, in tempo di guerra, poterono così recuperare il piombo fuso e rivenderlo a prezzo altissimo.

Recenti speranze

Nell’aprile 2017, i risultati di alcune strumentazioni moderne, insieme ai reperti che continuano ad affiorare, avevano fatto presagire la presenza di un terzo relitto, adagiato nel punto del lago più profondo, quello che non era stato prosciugato in epoca fascista.  

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La mastodontica nave di Caligola, foto via

Ma, alla prima immersione, ogni speranza è naufragata: non si tratta che di una modesta barchetta da pesca della prima metà del 1900, ben lungi dalla magnificenza dei fastosi, opulenti e affascinanti palazzi galleggianti dell’imperatore Caligola.  


Laureata in Lettere Moderne e in Informazione, Editoria e Giornalismo, è appassionata di letteratura contemporanea, scrittura, fumetto e nuovi media. Collabora come editor per diverse case editrici romane e come articolista per testate online.