L’imperatore Nerone è passato alla storia come una figura dai tratti chiaroscurali, i cui i lati in ombra sembrano prevalere su quelli luminosi. Sebbene oggi gli storici abbiano rivalutato il suo ruolo nella persecuzione dei Cristiani e in altri provvedimenti piuttosto discutibili che hanno caratterizzato il suo impero, è indubbio che Nerone sia stato una personalità focosa e piuttosto istrionica, versata all’elaborazione di progetti magniloquenti, ma spesso morti ancor prima di iniziare.
Interventi imperiali
Un caso del genere riguarda la costruzione di un canale navigabile, la Fossa Neronis, che nei progetti dell’eccentrico imperatore doveva collegare il porto di Pozzuoli a Roma. Il canale avrebbe dovuto servire come percorso sussidiario alla navigazione costiera marittima, sfruttando alcune zone a cavallo tra terra e mare come il Lago di Patria, le paludi di Sessa Aurunca e della foce del Liri-Garigliano, fino alle lagune ostiensi, passando per Lago di Fondi, di Sperlonga e altri più continui bacini lacustri.
La larghezza avrebbe consentito il passaggio contemporaneo di due quinqueremi addette al trasporto del grano, di cui Roma era sempre a corto. Così parla Svetonio, informandoci anche sullo stato giuridico dei lavoranti: sarebbero stati reclutati tra i condannati a morte.
Ma nel 68 le legioni stanziate in Gallia e in Spagna, guidate rispettivamente da Vindice e da Galba, si ribellano all’imperatore, costringendolo a fuggire da Roma. È l’inizio della fine: il Senato depone Nerone e lo dichiara nemico pubblico. L’ormai ex imperatore non sembra reggere la pressione di questa situazione e si suicida il 9 giugno dello stesso anno.
Con la sua morte, l’opera di costruzione della Fossa Neronis viene interrotta e il progetto definitivamente abbandonato, sebbene, non più tardi di dieci anni dopo, Domiziano pensò di sfruttare il tracciato per la costruzione della via Domitiana.
Tuttavia i lavori avevano intaccato l’equilibrio ambientale, tanto che le acque non riuscivano a defluire in maniera corretta. Così si formò dapprima un acquitrino che, con l’acqua proveniente dalle colline, continuò a ingrossarsi nel corso dei secoli, fino a che non venne trasformato in un vero e proprio lago nel corso del Medioevo.
Abitanti con le piume
Già al tempo di Nerone, la zona paludosa poco più a nord di Cuma era diventata l’habitat ideale di numerose folaghe. La presenza consistente di queste folicolae – il cui nome fu poi volgarizzato in follicole– offrì lo spunto per dare un nome al nuovo lago venuto a crearsi: il Lago di Licola.
Ovviamente le folaghe continuarono a riprodursi, colonizzando anche questo bacino affacciato sul mare. Sembra che fossero un alimento prelibato, tanto che persino i reali borbonici amavano organizzare battute di caccia sul lago per stanarle.
Una tela di Claude Joseph Vernet, conservata al Museo di Capodimonte, attesa questa passione di Carlo III di Spagna per la caccia alla folaga. Si tratta di un dipinto chiaramente celebrativo della corte borbonica partenopea, motivo per cui fu lo stesso Carlo III a commissionarlo al pittore. Raffigura infatti il sovrano nell’atto di sparare nell’ambito di una battuta di caccia su barche organizzata probabilmente per la visita di un ospite di rilievo.
Lago o palude?
Sembra che lo stesso Vernet abbia identificato il luogo come il Lago di Patria, un altro lago costiero ancora visibile a nord di Napoli; eppure le vedute sullo sfondo del promontorio di Cuma e dell’isola di Ischia fanno supporre che si tratti di una palude temporanea, creata appositamente per soddisfare la passione venatoria del re durante i mesi invernali. Sembra che questa zona fosse sita proprio tra il lago di Licola e Varcaturo.
Dunque che cosa esattamente è raffigurato in Carlo di Borbone a caccia di folaghe sul lago di Licola del 1746?
Sappiamo che oggi il lago di Licola è scomparso, ma sappiamo anche che è esistito al centro di un’ampia zona paludosa bonificata proprio nel XIX secolo. Sappiamo che vi furono costruite delle casine di caccia, delle cappelle e delle colombaie, come pure delle strutture per la macerazione della canapa e del lino; ma sembra che per sanificare la zona siano stati abbattuti dei resti di necropoli e strade con marciapiedi di epoca romana, probabilmente dell’antica strada Domitiana. Un anfiteatro della stessa epoca, non ancora esattamente localizzato, sembra sia ancora celato dai detriti e dalla vegetazione, cresciuta nell’area dalla forma allungata prima occupata da questo lago nato dalla morte di Nerone.
Oggi
Quelli nel dipinto sono probabilmente i resti del Lago di Licola: pozze più o meno profonde, navigabili, intervallate da una fitta vegetazione tipica di aree umide e spesso insalubri, tuttavia perfette per la nidificazione di numerose specie avicole, tra cui la folaga.
Oggi quelle aree, tra cui quella un tempo occupata dal lago vero e proprio, fanno parte del Parco Regionale dei Campi Flegrei, addetto alla protezione di rarità come il giglio di mare e la foresta mediterranea sempreverde.
E, ovviamente, dell’imperitura follicola.