Lost Musical Properties #1: Pilato

Scalata notturna del Monte Vettore, vista Lago

La luna illumina l’aspro profilo del monte Vettore, uno scoglio calvo dall’aria polverosa di un’immobilità inquietante. La quiete che si respira nell’aria frizzantina della notte si perde infatti nella consapevolezza delle insidie che si celano lungo il percorso.


Se c’è una cosa che ho imparato dalle escursioni in montagna è che nulla è così tranquillo come sembra: bisogna stare attenti a dove si cammina e alle variazioni di temperatura, soprattutto se si è sudati e sotto sforzo.
Sono già stata quassù, a sdrucciolare sul pietrisco piatto e tagliente che ricorda le punte di preistoriche frecce, in balìa di vento tagliente e sole cocente, ma mai di notte. Mi sorprendo di come la mia vista si sia abituata repentinamente alla flebile luce di questa luna smorta: la torcia elettrica che mi sono portata si rivela del tutto inutile. Stessa cosa non posso dire dello sparuto gruppo che ci precede, lassù, sul costone più prossimo alla vetta, segnalato proprio da malfermi fasci di luce artificiale.

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Lago di Pilato

Il nostro trio procede spedito lungo la prima parte del percorso, quella in cui il dislivello è più dolce e il sentiero di pietrisco largo e ben definito.
La mancanza di sonno non ci impedisce di godere delle forme di questo monte calvo che racchiude un cuore d’acqua dolce. Cuore che so essere di un azzurro intenso, dimora di un minuscolo crostaceo rosso corallo denominato Chirocefalo del Marchesoni. Mi immagino quei piccoli esseri, in realtà invisibili a occhio nudo, che si godono l’immobilità di questa notte di luna galleggiando a pancia in su sul pelo dell’acqua.

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Chircefalo del Marchesoni, foto di Stefano Properzi

Il freddo si fa pungente: ci deve essere ancora della neve, da qualche parte. Raggiunta la parte mediana, l’asperità del monte Vettore si interrompe per cullare in un abbraccio erboso una specie di incavo che ospita il lago di Pilato, dalla forma di occhiale.
La dimora dell’endemico chirocefalo è in realtà formata da due bacini distinti che, in base al livello dell’acqua, si uniscono fino a formare la tipica forma a occhiale. È curioso il fatto che il piccolo crostaceo abbia adattato il suo ciclo vitale alle variazioni stagionali del lago, ritardando o accelerando la sua crescita e la sua trasformazione in esemplare adulto.
Continuiamo a calpestare i deboli fili d’erba primaverile dirigendoci verso il bacino, discosto rispetto al sentiero principale e posto ad un livello più basso rispetto alla cresta che abbiamo percorso finora, quasi annidato tra i protettivi e impervi versanti del monte Vettore.
Il lago è avvolto da un’aureola di neve tardiva, frutto di un clima imprevedibile e della tempra propria delle quote più alte. Lo abbarbica a tal punto da unire i due bacini in una morsa glaciale, che brilla al tenue bagliore lunare come il regno di una regina dei ghiacci.

 

il lago dagli occhiali

Il lago, o meglio i laghi, a forma di occhiali

Fendere le ripide pendici a strapiombo sul lago potrebbe rivelarsi pericoloso, vista la quantità di neve e la scarsità di luce. Avvicinarsi al lago significa infatti affrontare uno spesso banco di neve in pendenza, con la luna alle spalle e le nostre ombre a confonderci i passi, già malfermi. Senza contare che è impossibile giungere davvero sulle rive del lago: per preservare le piccole uova del chirocefalo, è opportuno rimanere almeno a cinque metri dalla riva. Dunque la permanenza al lago sarebbe comunque una mera contemplazione e decidiamo di rimandare la visita, accontentandoci di ammirarlo dall’alto, incastonato in quella conca dove il carro di bufali con le spoglie di Ponzio Pilato sembra che abbia vagato senza meta per molto tempo, per poi terminare la sua corsa proprio sul fondo del bacino.
Con la delicatezza di questa carezza notturna che si posa sulla sua superficie e con questo innaturale silenzio, privo persino del frinire dei grilli e degli acuti gridi dei rapaci notturni, non è nemmeno così difficile credere che questo sia in realtà il lago Averno, ingresso degli Inferi. I Romani dovevano aver percepito la sinistra gravità di questo luogo incontaminato gravare sulle loro spalle.
Ci lasciamo alle spalle quello specchio incantato, diretti verso l’affilata Cima del Redentore, il punto più alto del complesso del Monte Vettore. Lì, nubi permettendo, i nostri occhi saranno abbacinati dai roventi riflessi dell’alba, i cui colori sveleranno le indefinite increspature del Mar Adriatico, remoto e evanescente come un miraggio.

Laureata in Lettere Moderne e in Informazione, Editoria e Giornalismo, è appassionata di letteratura contemporanea, scrittura, fumetto e nuovi media. Collabora come editor per diverse case editrici romane e come articolista per testate online.